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La nuda verità - L'amore dei genitori non basta a guarire dal disturbo borderline di personalità. Conversazione con Gina Rovito - Puntata del 30/07/2023
Gina Rovito e la sua famiglia, Gina e suo figlio Vittorio. Quando su di un figlio si allungano le ombre del disturbo psichico più o meno grave, del disturbo borderline di personalità, la famiglia è sicuramente la prima ad andare in affanno. La malattia mentale è ancora difficile da accettare? Le famiglie delle persone con patologia legata ai disturbi del comportamento sono lasciate sole a combattere? Le REMS che non sono i luoghi adatti per chi soffre di tali disturbi, i tempi biblici della giustizia e dei servizi sociali. La vicinanza dei familiari che da sola, non basta. Tanti gli interrogativi nella conversazione con Gina Rovito che con la famiglia vive a Tropea in Calabria. Una famiglia attenta, unita, coesa: un marito, sposata da oltre 30 anni, 3 figli, di cui 2 adottati in tenerissima età in Russia, Vittorio e Teresa, oggi rispettivamente di 26 e 24 anni e uno nato molti anni dopo, Nino di 14 anni. Vittorio dall'età di 12 - 13 anni ha cominciato a frequentare brutte compagnie e a fare uso di cannabis. Col tempo la sua situazione comportamentale è peggiorata: ha lasciato la scuola ed è diventato aggressivo. A 16 anni gli è stata diagnosticata una patologia di disturbo comportamentale borderline. I genitori, ha cercato di farlo curare, ma da subito, si sono resi conto della grande difficoltà di trovare aiuto e, cominciano a confrontarsi con altre famiglie, capendo che per questo tipo di disagi, di malati esiste nella sanità una sorta di "buco". Cercando un sistema di protezione per contenerlo lo denunciano per maltrattamenti in famiglia e Vittorio trascorre 4 anni in varie comunità terapeutiche a doppia diagnosi per il recupero della tossicodipendenza. E' stato un calvario: comunità che non riescono a curare questa tipologia di malati. Vittorio nel frattempo mostrava sempre più segni di insofferenza e si allontanava dalle comunità nonostante il divieto di farlo dato dal giudice tutelare. quando scappava tornava a casa. L'ultimo periodo in comunità lo ha trascorso presse Exodus di Santo Stefano in Aspromonte. Poiché si allontanava il giudice lo ha condannato alla REMS e contestualmente è caduto l'obbligo di risiedere in comunità. Così Vittorio è tornato a casa, tre anni fa. In questi anni la famiglia è stata la sua comunità, cercando di curarlo sia con una terapia farmacologica sia creando attorno a lui una rete di relazioni sociali positive e inclusive. In questa lotta titanica sono stati stati soli, aiutati esclusivamente da una rete di amicizie e conoscenze, che li hanno accolti e aiutati anche offrendo saltuariamente lavoro a Vittorio. Il papà è diventato il suo amministratore di sostegno e gli è stata riconosciuta la disabilità. I genitori stanno cercando di far revisionare la sua posizione legale chiedendo che gli venga eliminata la pericolosità sociale, ma i tempi della giustizia sono faraonici e sono trascorsi, tra continui rinvii, 2 anni. Sul suo capo pende comunque quella condanna alla REMS. questa possibilità è ormai diventata anacronistica e fortemente dannosa poichè la famiglia ha sopperito e supplito a quello che la sanità avrebbe dovuto fare. Vittorio non è guarito naturalmente. purtroppo la sua è una patologia che difficilmente verrà superata, ma riesce a stare in società con il nostro aiuto. La REMS sarebbe per la morte per il suo benessere fisico e psicologico. I genitori auspicano che Vittorio rimanga a casa, dove ha trovato una sua dimensione e dove hanno imparato a gestirlo. L'ingresso in REMS sarebbe per Vittorio, per i genitori un incubo